“Il cibo anestetizza un dolore che allo stesso tempo nutre”
I comportamenti disfunzionali dell’abbuffata e/o dei metodi compensativi sono episodi che possono presentarsi, come evoluzione dalla restrizione, anche dopo anni dall’insorgenza del disturbo. Sono situazioni in cui la fragilità emotiva è maggiormente evidente, possono manifestarsi sintomi depressivi, di irritabilità e, in alcuni casi, di comportamenti autolesivi, di piccoli furti, di abuso di sostanze, ecc.
Il corpo, la magrezza e la prestanza fisica sono al giorno d’oggi il biglietto da visita che sembra meglio garantire riconoscimento e accettazione da parte della società: abbiamo tutti gli strumenti per essere belli e “perfetti”, se non ci riusciamo è solo “colpa” nostra.
Ed è proprio il vissuto del senso di colpa e della vergogna che invade chi soffre di questa tipologia di disturbi.
Durante le abbuffate vi è un senso di appagamento immediato dovuto alla pienezza che conferisce il cibo, cibo che acquista un valore affettivo, di riempimento di un vuoto e allo stesso tempo minaccia alla perfezione. Tale dinamica viene vissuta con grande senso di colpa e vergogna, il cibo diventa sporcizia, veleno. Il vomito dunque, oltre ad espellere fisicamente il nutrimento dal corpo, simboleggia una pulizia interiore, e un agito di vendetta ed autonomia verso se stessi.
Tale modalità disfunzionale si ripropone spesso anche nelle esperienze affettive e sentimentali. C’è un investimento e un assorbimento estremo nella relazione con l’altro che, nel momento in cui diventa più profonda, spaventa, il non riuscire a gestire il turbinio di emozioni contrastanti porta il soggetto a respingere e a rifiutare l’altra persona, il loro rapporto, alimentando il circolo vizioso di senso di inadeguatezza, ricerca di accettazione e conseguenti condotte di squilibrio.
L’episodio dell’abbuffata non manifesta solo una perdita di controllo dovuta dalla difficoltà di gestire emozioni o relazioni.
L’abbuffata spesso è pensata e pianificata ed evidenzia una necessità di ritiro: il soggetto si assicura che avvenga in solitudine, proprio per il senso di vergogna che lo attanaglia.
La vergogna del proprio corpo, della propria anima, della propria fragilità.
È difficile ammettere di essere fragili in un mondo che non te lo permette e che associa alla parola fragilità, la debolezza.
Diventare consapevoli della propria fragilità significa darsi il permesso di sbagliare, di poter crescere e diventare altro da quello che ci spaventa.
Laura DALLA RAGIONE, Lucia GIOMBINI, Solitudini imperfette, Perugia, 2014.
Ruediger DAHLKE, Cibo, peso e psiche. Interpretazione psicosomatica dei disturbi alimentari, Tecniche Nuove, Milano, 2008.
Rossella PANIGATTI, I sintomi parlano, TEA, Milano, 2003.